30 novembre 2024

Nicaragua: La rabbia di Adela e il regime di Daniel Ortega

Ci sono storie che valgono più di mille analisi politiche. Raccontano di un potere che, pur di sopravvivere, si accanisce su chiunque osi anche solo accendere una candela nella notte. Una di queste storie arriva dal Nicaragua, paese ormai inghiottito da una dittatura feroce, che si camuffa sotto i colori di una rivoluzione che non esiste più, raccontata in modo magistrale dal giornalista nicaraguense Julian Navarrete per Internazionele. La protagonista è Adela Espinoza, 30 anni, colpevole – secondo il regime di Daniel Ortega e della moglie Rosario Murillo – di aver bruciato una bandiera del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale. Non una bomba, non un assalto. Una bandiera. La colpa di esistere Adela è stata arrestata il 18 agosto 2023, identificata per i suoi capelli ricci, tinti per metà di bianco. Un errore, forse di inesperienza, che non le ha impedito di compiere il suo gesto simbolico contro la chiusura dell’Università Centroamericana (UCA), luogo dove aveva studiato e protestato. Il governo di Ortega, che da tempo si è travestito da caricatura grottesca del sandinismo, ha reagito con il consueto manuale della repressione: poliziotti armati di tutto punto, porte sfondate e accuse ridicole. Ma non si sono fermati lì. Dopo l’arresto di Adela e delle sue compagne – alcune riuscite a fuggire, altre finite in cella – il regime ha costruito un processo farsa. Le accuse? Terrorismo, crimini contro la sicurezza nazionale e, dulcis in fundo, traffico di droga. Un copione già visto: testimonianze fabbricate, prove mai esistite e giudici al servizio del potere. Tutto pur di non riconoscerle per ciò che sono: prigioniere politiche. Il carcere: un inferno per chi si oppone In cella, Adela ha vissuto quello che il regime chiama “rieducazione”. Ore in piedi con le mani legate dietro la schiena, minacce con fucili puntati alla fronte, interrogatori infiniti. E poi l’umiliazione, quella che colpisce nel profondo: il negare la dignità umana. Le guardie le negavano persino i medicinali, la deridevano, le legavano mani e piedi. Una prigione pensata per spezzare non solo il corpo, ma anche l’anima. Eppure, Adela non ha collaborato. Non ha indicato le sue compagne, non ha ceduto alle pressioni di chi la voleva piegare. Ha resistito, come resistono quelli che sanno che la loro battaglia non è solo per sé stessi, ma per qualcosa di più grande. L’esilio: un prezzo amaro per la libertà Il 5 settembre 2024, Adela e altre 134 persone sono state caricate su un aereo e mandate in esilio in Guatemala. Non una liberazione, ma un espatrio forzato, un modo per il regime di disfarsi di un problema. La comunità internazionale applaude timidamente, dimenticando che dietro ogni esilio c’è un fallimento collettivo: quello di non aver fermato un dittatore. Adela è arrivata in Guatemala con i vestiti logori del carcere e una valigia vuota, simbolo di un futuro tutto da ricostruire. Ha perso più di un anno della sua vita, lontana dai figli, privata della libertà. Ma non si è arresa. Oggi, nel suo esilio, parla, denuncia, racconta. E ogni parola è una condanna per il regime che ha cercato di zittirla. Ortega: la rivoluzione tradita Daniel Ortega, l’ex leader sandinista che un tempo incarnava la speranza di un popolo, oggi è la parodia di sé stesso. Ha trasformato il Nicaragua in uno stato di polizia, dove ogni voce dissenziente è schiacciata con la violenza. Un regime che non ha più nulla di rivoluzionario, ma solo il sapore amaro della dittatura. Ortega non combatte più per il popolo, ma contro il popolo. Ha tradito gli ideali di una generazione, usando la bandiera del sandinismo come scudo per il suo potere personale. Bruciare quella bandiera, come ha fatto Adela, è forse l’atto più autentico di resistenza in un paese dove tutto è stato capovolto. Conclusione: il coraggio di ricominciare Adela Espinoza non è solo una vittima del regime di Ortega, ma anche un simbolo di resistenza. La sua storia ricorda che, anche nei momenti più bui, ci sono persone che non si arrendono. Il carcere ha provato a spezzarla, ma lei è uscita più forte, pronta a ricominciare. Mentre il mondo guarda distratto, la lotta di Adela e di tanti come lei continua. Non nei tribunali né nei parlamenti, ma nei gesti quotidiani di chi, anche in esilio, non smette di credere che un giorno il Nicaragua sarà libero. E quando quel giorno arriverà, saranno loro – i perseguitati, gli esiliati, i resistenti – a scrivere la storia.

 
Ricerca
      
dal    al