4 ottobre 2020

Gagliano Giuseppe La guerra balcanica

Credo che sia difficile sottovalutare l’importante contributo dato alla comprensione della guerra del Kosovo ed in particolare all’uso ampio dell’uranio impoverito da parte della NATO nel 2000 dalla casa editrice Odradrek e,in particolare ,dalle riflessioni drammaticamente lucide di scienziati come Carlo Pona , Cristina Giannardi, Daniele Dominici e Mauro Cristaldi. Usato per la prima volta nella guerra del Golfo del 1991 come testimoniato da Gunther presidente della Croce Gialla Internazionale e dalla International Action Center diretto da Ramsey Clark e da Sara Flounders il quantitativo di proiettili prodotto dal 1976 ad oggi è certamente molto più grande di tutto quello che è stato usato sia in Iraq che in Jugoslavia . Solo dopo numerose costanti pressioni il 3 febbraio del 2010 la NATO decise di consegnare all’ONU la mappa precisa dei luoghi in Jugoslavia colpiti dall’uranio impoverito . Uno dei dati che emerge con maggiore chiarezza e drammaticità è il seguente: la documentazione della Nato relativa all’uso dell’UI fu consegnata dopo cinque mesi che i soldati italiani erano presenti sul luoghi di contaminazione. Il secondo dato altrettanto drammatico è relativo al fatto che il numero effettivo dei proiettili fu incommensurabilmente più elevato di quello ufficiale come indicato chiaramente dal quotidiano inglese The Indipendent e dalla BBC nel 2000. Tuttavia il rapporto più autorevole che fu pubblicato allora è quello del ministero per lo sviluppo jugoslavo che denunciò la NATO per aver usato questi proiettili anche all’esterno del Kosovo.La stima del carico di proiettili all’uranio depositato è di 50.000 proiettili pari a circa 15 t e quindi superiore a quello dichiarato dalla Nato. Ora, al di là delle bugie tipiche di ogni guerra, nel 1979 l’esercito americano era pienamente consapevole delle implicazioni pericolosissime per la salute . Altrettanto consapevoli della pericolosità dell’uranio furono le relazioni del laboratorio di Los Alamos . Non sorprende invece che il tribunale internazionale penale per la ex Jugoslavia abbia chiesto l’archiviazione per la Nato adducendo motivazioni assolutamente irrisorie senza neppure considerare tutto il dibattito scientifico degli ultimi vent’anni sulla questione relativa all’uranio impoverito facendo così perdere al tribunale-secondo Carlo Pona-qualsiasi credibilità internazionale. Altrettanto rilevanti sono le riflessioni di Giannardi e Dominici secondo i quali la guerra del Golfo del 1991 è stato certamente il primo conflitto in cui vennero utilizzati in modo ampio ed estensivo proiettili all’uranio impoverito. Per intenderci parliamo di circa 300 t. Superfluo osservare che le implicazioni di questo uso estensivo dell’UI sull’ambiente e sulla salute della società civile irachena oltre che sui militari statunitensi e iracheni sono state devastanti. Opportunamente Mauro Cristaldi sottolinea come questa guerra sia stata pianificata proprio sul modello delle catastrofi ecologiche già ampiamente utilizzate e sperimentate sia in Indocina che in Iraq con lo scopo di mettere a punto un sistema di dominio eugenetico globale dell’umanità e dell’ecosfera. Quanto poi all’embargo, la denutrizione e /o la malnutrizione non hanno fatto altro che aggravare il quadro epidemiologico nei paesi colpiti da questo attacco inducendoli alla medicalizzazione generalizzata. Insomma il modello di intervento seguito contro la Jugoslavia sembra costituire-sottolinea l’autore -un ulteriore banco di prova per legittimare la logica di potenza della NATO.Inoltre ,il dimostrato esercizio di una manipolazione preventiva dell’informazione,costituisce la prova provata di una strategia pianificata a tavolino. Non dimentichiamoci tuttavia che diverse sono le armi o più semplicemente gli strumenti attraverso i quali gli Stati direttamente o indirettamente possono dominare un paese.Uni di questi strumenti è certamente quello legato alle riforme liberiste. Queste furono avviate in Jugoslavia nel 1988 e furono incoraggiate e sostenute dal presidente Bush il quale legittimò un pacchetto di aiuti nell’autunno del 1989 che implicavano l’adozione di drastiche misure in campo economico come il congelamento dei salari, la svalutazione della lira, i tagli alla spesa pubblica e la messa in liquidazione delle società statali. L’insieme di queste riforme determinò un vertiginoso aumento della disoccupazione oltre alla chiusura di circa la metà delle banche e di quasi 1000 aziende. Quanto alla produzione industriale questa registrò una diminuzione del 21% e di conseguenza il Pil si ridusse nel 1991 al -15%. Tutte queste misure furono ulteriormente aggravate negli anni 90 quando il congresso americano approvò la legge sul finanziamento alle operazioni all’estero che per la Jugoslavia prevedeva il taglio di ogni forma di aiuto o prestito. Solo nel caso in cui le le repubbliche jugoslave si fossero conformate al diktat del Dipartimento di Stato queste avrebbero nuovamente potuto godere del sostegno economico degli Stati Uniti. Inevitabilmente il governo di Belgrado non fu più in grado né di pagare gli interessi sul debito e venne bloccata la produzione che provocò un ulteriore drammatico aumento della disoccupazione. A questo punto le elezioni politiche non poterono che dare esito positivo per i movimenti nazionalisti che in quanto anticomunisti avevano potuto godere del sostegno americano. Questa situazione drammatica consentì nel giugno del ‘91 alla Slovenia e la Croazia di proclamarsi indipendenti creando in questo modo le basi per la futura guerra jugoslava. Tutto ciò non deve però destare una particolare sorpresa poiché chi segue con attenzione ,come lo studioso Angelo Baracca ,l’evoluzione delle dottrine strategiche americane ,soprattutto quelle relative al settore nucleare, sa molto bene che proprio gli Stati Uniti già a partire dal 2000 stavano facendo uno sforzo frenetico per realizzare testate nucleari nuove. Cercando per esempio di realizzare test nucleari virtuale con i supercomputer, attraverso la realizzazione della National Ignition facility in cui 192 laser dovrebbero simulare il calore generato da un’esplosione termonucleare. Per non parlare poi dei tests nucleari sotterranei subcritici con plutonio in Nevada, a Los Alamos e nel Livermore Laboratory . Di pari gravità è ciò che sta facendo Mosca che già a partire dal 2000 aveva sostenuto che il riarmo costituisce la principale priorità nazionale addirittura superiore al ripianamento del debito estero.Infatti l’aumento del 50% delle spese per la difesa è stato enunciato da Putin nel 1999 e prevede un riarmo in 10 anni. D’altronde la nuova dottrina militare russa del 2000 attribuisce una grande importanza al ruolo delle armi nucleari e con essa si reintroduce un vecchio concetto tipico della guerra fredda e cioè il concetto di first use. Significativo il fatto che proprio il ministro della difesa russo abbia affermato che Mosca non può escludere la possibilità di una guerra nucleare. Insomma il rischio di una nuova escalation nucleare è un rischio tutt’altro che irrealistico. Lo era nel 2000 e lo è a maggior ragione a distanza di vent’anni ancora oggi secondo il bollettino degli scienziati atomici.

 
Ricerca
      
dal    al