26 settembre 2020

La Guerra fredda in Italia e le infrastrutture Nato-USA

Come ormai è storicamente accertato la possibilità di ospitare armi nucleari da parte americana durante gli anni cinquanta fu accolta positivamente quasi esclusivamente dall’Italia e dalla Turchia.Per quanto concerne la Francia ,anche se questa aveva espresso il proprio interesse per il programma degli IRBM americani , Parigi-pur considerando molto importante la partnership con gli Stati Uniti anche nel contesto nucleare-da un lato voleva sviluppare una propria progettualità nucleare in ambito civile e in ambito militare ma soprattutto Parigi voleva che i missili a testata nucleare fossero sotto la sua diretta responsabilità senza dipendere quindi né dalla Nato né dal suo comandante in Europa. Proprio per questa ragione nel 1958 Parigi decise di non aderire al programma degli IRBM salvaguardando in questo modo ,almeno relativamente ,la sua sovranità politica e militare. Al contrario la Turchia fu uno dei pochissimi paesi a accettare di aderire a questo programma e a dimostrare la propria disponibilità nei confronti dei progetti americani. Per quanto riguarda l’Italia, la presenza di una solida maggioranza democristiana nel 1958 ,favorì certamente l’adesione dell’Italia al progetto americano. Ovviamente la nazione che avrebbe aderito a questo progetto si assumeva implicitamente il rischio di diventare l’obiettivo immediato di un eventuale attacco nucleare da parte dell’Urss. Proprio perché era scontata l’opposizione da parte dei comunisti e dei socialisti Fanfani portò a termine l’accordo fra il 1958 e il 1959 con gli Stati Uniti facendolo apparire non come un accordo volto a consolidare l’arsenale atomico ma come se si trattasse di un’attività militare di tradizionale partnership con gli Stati Uniti. Al di là degli accordi specifici fra Italia e Stati Uniti sull’uso delle testate nucleari era indubbio che queste sarebbero comunque dovute rimanere sotto la protezione dell’autorità americane e non sarebbero quindi state affidate agli italiani soprattutto per quanto riguarda il trasporto, la manutenzione o la loro eventuale sostituzione come stabilito dalla legge americana nota come MacMahon Act . Il contributo italiano all’istallazione delle testate nucleari Jupiter a Gioia del Colle non fu certamente marginale: infatti l’Italia fornì agli americani i terreni e soprattutto le strutture edilizie.Solo nel 1963 saranno smantellata a seguito della crisi missilistica di Cuba ,testate che saranno sostituite con i cosiddetti missili Polaris installati sui sottomarini che, fra l’altro, saranno posti esclusivamente sotto il controllo americano e non erano quindi soggetti a un controllo congiunto. Al di là della questione di natura addestrativa che riguardò il personale della areonautica militare italiana e cioè la 36ma Aerobrigata preposta al controllo dei missili nucleari-attività addestrativa che si svolse prima a Lackland e poi presso il Redston Arsenal -e indipendentemente dalla fiducia che gli americani accordarono al personale militare italiano dal punto di vista strettamente strategico i sovietici non solo erano pienamente al corrente dell’esistenza di questa infrastruttura militare ma la sorvegliarono come conferma l’episodio gravissimo che accade nel 1962 quando un Mig bulgaro cadde in prossimita dell’istallazione militare. Appare quindi del tutto scontata, all’interno del personale militare americano, la presenza della CIA che proprio in questa occasione ebbe modo di intervenire tempestivamente.Tuttavia, gli aspetti più interessanti del saggio di Deborah Sorrenti “L’Italia nella guerra fredda. La storia dei missili Jupiter 1957-1963(Edizioni associate, 2003) non sono quelli di natura squisitamente tecnica ma certamente quelli di natura politica. A tale riguardo credo sia necessario fare una serie di considerazioni, a mio giudizio di estrema rilevanza ,non solo relativamente alla questione delle istallazioni nucleari a Gioia del Colle ma in generale in relazione alle problematiche legate alla presenza delle infrastrutture militari Nato- Usa sul nostro territorio. Affermare che istallazioni di tale natura possano avere una ricaduta benefica sul piano economico significa fare un’affermazione paradossale: non è certo la presenza di missili nucleari che può consentire a un’economia come quella pugliese - e a quella del Mezzogiorno -di risorgere. Un’affermazione di tale natura equivale infatti a sancire il fallimento delle politiche economiche poste in essere sia dal governo di Roma che da quello locale. In seconda battuta, sostenere come hanno fatto molti ufficiali italiani nelle interviste rilasciate all’autrice, che le armi nucleari non rappresentavano un pericolo maggiore rispetto alle armi convenzionali significa o mentire sapendo di mentire o significa dimostrare una totale incoscienza di fronte alle implicazioni apocalittiche che un eventuale conflitto nucleare con l’URSS avrebbe determinato. Se scontate quanti prevedibili furono le manifestazioni organizzate dal partito comunista locale (in gran parte coordinate da Tommaso Fiore) altrettanto scontate furono le motivazioni ideologiche che animarono queste proteste, motivazioni che si devono contestualizzare all’interno della propaganda della guerra fredda tra i due blocchi. Uno dei pochi giudizi lucidi - scevro da pregiudiziali ideologiche -sulla reale situazione economica fu data dal signor Vasco . Da un lato infatti ebbe modo di osservare come la presenza delle istallazioni militari avesse arrecato danni alla piccola economia locale facendo salire il costo degli affitti e dall’altro lato ebbe modo di osservare come il guadagno effettivo fu conseguito solo da parte dei pochi albergatori che avevano stipulato delle specifiche convenzione con l’amministrazione militare. Per quanto poi riguarda gli approvvigionamenti della base questi arrivavano dall’esterno . In definitiva la presenza delle istallazioni militari determinò una benessere fittizio che non arrecò alcun vantaggio stabile e duraturo all’economia locale. Altri due dati significativi emergono dal saggio dell’autrice: da un lato l’accurata lottizzazione politica attuata dalla Dc locale che aveva nella giunta comunale la maggioranza e dall’altro lato il fatto che la “ Gazzetta del Mezzogiorno” -quotidiano autorevole molto letto e seguito dalla opinione pubblica locale -si fece sempre portavoce delle ragioni sia della democrazie cristiana locale che di quella nazionale. In altri termini mancò qualsiasi voce di dissenso sotto il profilo giornalistico e questo certamente arrecò un beneficio rilevante al mantenimento dello status quo a Gioia del Colle. Vorremmo per concludere fare una ultima osservazione non tanto -e non solo- relativa alle installazioni militari presso Gioia del Colle quanto al fatto che a livello globale le democrazie rappresentative delegarono a ristrette oligarchie politiche-militari il potere di decidere la vita o la morte di miliardi di persone. I giochi di potere e i giochi di guerra sia delle oligarchie democratiche che di quelle dei regimi totalitari - ancora una volta accumunate nel contesto della politica estera -avrebbero potuto cancellare la vita sulla terra. Il fatto che nelle democrazie un tale potere sia legittimato ha costituito -durante la guerra fredda-e costituisce non tanto un errore politico inaccettabile quanto un crimine contro l’umanità .

 
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