12 aprile 2015

Gagliano Giuseppe Saggi sul realismo politico,Cestudec,2015

Il volume raccoglie quattro saggi sul realismo poli-tico dedicati a studiosi italiani e stranieri che si sono posti, al contempo, il problema di definirne la prospettiva filosofica, ricostruirne la genealogia, elaborare un quadro teorico di riferimento per spiegare i fenomeni politici del passato e problematizzare le sfide dei regimi democratici. La trattazione delle opere più significative di Pier Paolo Portinaro, Angelo Panebianco, Ekkehart Krip-pendorff e John J. Mearsheimer ben illustra la rilevanza del realismo politico nella cultura politica del mondo occidentale, dagli arbori delle civiltà antiche sino a quelle contemporanee. La presenza di due studiosi italiani, poi, intende rendere merito al contributo che la cultura politica del nostro Paese ha dato alla tradizione realista, da Machiavelli e Guicciardini ai teorici delle élites, sino alla rilettura “de-antropolizzata” compiuta dal realismo metodologico, che interpreta le fattispecie sulla scorta di un framework teorico, realizza analisi comparative, for¬mula previsioni sugli eventi ed elabora delle massime per l’azione politica.Ciò detto, il primo merito di questi Autori è quello di aver sottolineato che il realismo politico è un’etichetta che identifica orientamenti di pensiero differenziati e, spesso, contrastanti. Ciò che li acco-muna è, anzitutto, il riferimento al¬la realtà empirica della natura umana e sociale in opposizione alle trasfigurazioni etiche e morali. In particolare, il realismo afferma la tesi che la politica è un ambito autonomo che deve essere descritto e spiegato attraverso l’esperienza fattuale e la comparazione storica, indi¬pendentemente dai desideri personali, dalle aspettative normative e dai valori culturali, volta per volta, dominanti. Questi sono rilevanti ma anch’essi sul piano fattuale. In secondo luogo, l’idea che la politica sia una lotta che ha come fine la conquista e il mantenimento del potere. Alla concezione conflittualistica del mondo sociale si accompagna una concezione strategica del governo e una prasseologia che ricorre a particolari tecniche per raggiungere il fine del successo nella sfida della conservazione. Ad ogni livello, individuali e collettivo, la posta in gioco sono la sopravvivenza e il dominio in un ambiente ostile: la realtà è qualcosa di minaccio¬so e gli sforzi dell’attività umana e sociale sono indirizzati a contrastarne le minacce. Tutti gli studiosi realisti, in terzo luogo, condividono la centralità delle organizzazioni statuali nella scena interna e internazionale e la condizione strutturale di competizione tra di loro, all’“ombra della guerra, senza autorità superiori. In quarto luogo, il realismo finisce per porsi ex parte principi piuttosto che ex parte populi, nella misura in cui ai primi sono affidate la sicurezza, l’ordine e il governo. Vi è un realismo radicale che afferma puramente il “diritto” del più forte e un realismo più moderato che legittima quel potere fattuale per il fine di quei valori capitali. A favore di quest’ultimo si schierano gli studiosi che, proponendo dei “cor¬rettivi tecnocratici”, non mirano a sovvertire la logica delle istituzioni democratiche ma a contrastare i pericoli della corruzione e del dilettantismo. Dopo aver attratto, soprattutto, i teorici e politici più “cinici”, che ne hanno impiegato le categorie analitiche come uno strumento duttile per la difesa del potere costituito, difendendolo con ogni mez¬zo lecito e illecito – ragion di stato, forza, frode, violenza, corruzione –, negli ultimi decenni si è prodotto un nuovo clima favorevole al realismo politico, anche a causa di problemi vecchi e nuovi nella realizzazione della pace e nella costruzione di ordinamenti internazionali, con il conseguente discredito delle ideologie pacifiste e cosmopolite, e per le difficoltà nell’istituzionalizzare a livello universale e in modo sostanziale i diritti civili, politici, sociali e culturali. Il contributo degli Autori qui esaminati è significa-tivo non solo sul piano teorico ma per le considerazioni più attuali sulle sfide che si impongono agli Stati democratici tanto nella politica interna quanto in quella internazionale. Portinaro affronta il tema della governo della tran-sizione planetaria dopo la fine della guerra fredda, proponendo un’agenda di problemi, che con la scom-parsa del “Secondo mondo”, vede il “Pri¬mo” nella posizione non invidiabile di governare un «pia-neta di naufraghi» in cui si profilano nuove sfide: la globalizzazione economica, i revival nazionalistici, i deficit democratici, i fondamentalismi religiosi, l’integrazione culturale, le asimmetrie tra Nord e Sud del mondo, la frontiera bio-tecnologica, la crisi ecologica e la crescita demografica. Dal punto di vista del realismo politico, è fondamentale chiarire che cosa si può fare e non si può fare nella politica sovranazionale, anche quando appaia desiderabile; tanto più che la crisi strutturale delle Nazioni Unite ha posto di fronte alla necessità di nuove forme e strumenti di integrazione, lontani dalla “retorica del federalismo” e consapevoli che la diffe¬renziazione a livello planetario, infatti, offre elementi empirici che get-tano luce sulle «frontiere difficilmente valicabili del processo di demo¬cratizzazione, oltre le quali è illusorio ipotizzare il sal¬to di qualità taumaturgico della democrazia interna¬zionale. Il saggio di Panebianco è particolarmente interessante per il tentativo di dimostrare che la democrazia agisce sulla scena internazionale in modo differente rispetto ai regimi autoritari, promuovendo relazioni più pacifiche e solidali. Ma anche per lo sforzo di distinguere tra tipi di democrazie, esaminandone i particolari cleavages, le specifiche culture politiche, il peculiare posizionamento nel sistema internazionale, altri elementi strutturali e altri più contingenti: un quadro di riferimento teorico con cui l’Autore prova a ricostruire comparativamente la politica estera di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Italia durante il secondo ’900. In conclusione, Panebianco non si sottraeva al compito di prefigurare le sfide che le democrazie avrebbero dovuto affrontare nel nuovo scenario post Guerra fredda, in una situazione resa ancor più complessa dalle aperture economiche, sociali e culturali della globalizzazione, la crisi – “vera o presunta” – degli Stati nazionali, il costituire di global players continentali, tra cui l’Unione Europea e lo stallo che blocca l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel fare in conti con queste sfide, Panebianco esaminava, in particolare, la natura dei processi di democratizzazione del post 1989, i cambiamenti nel sistema internazionale e suoi effetti sul futuro delle democrazie, considerando, infine, come le trasformazioni di quest’ultime producano degli “effetti di ritorno” sulla politica internazionale. La rilettura degli scritti di Ekkehart Krippendorff e di John J. Mearsheimer consente, infine, con la ric-chezza di documenti e di dati storici presentati, di approfondire in maniera particolareggiata i problemi nelle relazioni internazionali e nelle politiche nazionali della sicurezza e come i sistemi difensivi condizionino la capacità di progettare e gover-nare il futuro dei sistemi democratici. Nella riflessione viene introdotto, quindi, un fattore che è costitutivo della formazione degli Stati: l’apparato militare. Ad esso facciamo riferimento sia per l’esercizio del monopolio legittimo della violenza sia per la condotta di guerra. Diversi sono, peraltro, tra i due Autori, i presupposti realistici che muovono l’interpretazione della logica di potenza: per il realismo offensivo di Mearsheimer è il deterrente unico che rende possibile la pace e la stabilità tra gli Stati – anche la guerra diviene uno strumento di pacificazione; Krippendorff, al contrario, invita a prender coscienza dei meccanismi insensati della ragion di Stato e dei crimini che la logica di potenza ha fatto a compiere alle élite. A conclusione, riflettere in un’ottica comparata su di un fautore del realismo offensivo e un classico del pensiero pacifista, crediamo che ben problematizzi un volume che si è posto il tema dell’approccio realista alla politica internazionale e di come questa sia cambiata nel corso del ’900.

 
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