4 aprile 2015

Gagliano Giuseppe Geopolitica e tecnologia nella riflessione di Peter J.Hugill

Il suo volume Le comunicazioni mondiali dal 1844. Geopolitica e tecnologia vuol essere un’analisi degli avvenimenti che hanno accompagnato lo sviluppo delle comunicazioni mondiali negli ultimi due secoli, a partire da più discipline: non solo quelle cui si richiama il titolo, vale a dire storia e tecniche delle comunicazioni, geopolitica e tecnologia, ma anche discipline che attengono al vasto campo delle scienze sociali da cui lo studioso riprende adattandoli alle sue esigenze di dimostrazione teorie e modelli interpretativi, tra cui quelli di Innis, di Mackinder e di Fox e Tilly. Hugill è convinto del ruolo fondamentale giocato dalle telecomunicazioni nella politica di potenza di uno stato o di più stati, i quali finiscono per esercitare un predominio economico, quando non politico e militare, su altri stati in possesso di minori dotazioni tecnologiche. L’autore aveva in precedenza toccato lo stesso tema a proposito del ruolo dei trasporti in età moderna nel suo testo World trade since 1431:Geogrphy, Tecnology and Capitalism del 1993, di cui afferma che il presente studio è una “postilla elaborata” che si occupa dello sviluppo del sistema capitalistico negli ultimi centocinquanta anni, reso possibile da quella che considera “l’industrializzazione dell’informazione” al servizio della società e dello stato grazie alle moderne tecnologie, che, dall’invenzione del telegrafo nel 1844 ad oggi, hanno messo in comunicazione il mondo. Non che gli interessi in particolare quest’aspetto, unanimemente riconosciuto come strumento di affratellamento universale: quello che l’autore vuole seguire, con un’indagine basata sulla ricostruzione puntualissima di scoperte, innovazioni, eventi condotta attraverso l’analisi di fonti storiche come archivi pubblici e privati, libri, riviste, testi di autori e specialisti dei singoli periodi, è la storia dello sviluppo delle comunicazioni in relazione a una peculiarità che le contraddistingue, cioè quella di conferire allo stato detentore del primato tecnologico che le riguarda anche il primato economico e politico sugli stati restanti. Insomma, come dice espressamente l’autore: «l’informazione è potere». Hugill è fortemente influenzato dalla teoria sullo sviluppo dell’informazione di Harold Adams Innis (in particolare dal suo studio del 1950, Impero e comunicazioni, Meltemi, 2001), da cui desume l’importanza delle comunicazioni per l’organizzazione e l’amministrazione degli stati e quindi degli imperi della civiltà occidentale dato il controllo che ne viene sul piano militare, economico e culturale, portando però poi le affermazioni del sociologo della scuola di Toronto alla conseguenza finale della considerazione della tecnologia delle comunicazioni come principale tecnologia del potere geopolitico. Per Hugill, forse più ancora che per Innis, l’attenzione è centrata sulle conseguenze economiche e politiche di una nuova tecnologia comunicativa per cui non si può prescindere da una verifica del know how e delle infrastrutture produttive sottostanti. Donde tutto il lavoro di ricostruzione tecnica, storica, economica, politica che ha guidato il lavoro dell’autore mediante una rendicontazione estremamente minuziosa, a volte ai limiti del tecnicismo, che comporta inevitabilmente una sovrapposizione di piani d’indagine non tutti ugualmente riusciti, con riprese di argomenti, ripetizioni e qualche incongruenza. Per Hugill il momento di partenza della nuova epoca delle comunicazioni, innestata su quella fase della storia dell’umanità che, sulla scorta della classificazione di Lewis Mumford, egli chiama della neotecnica e caratterizzata dalla mobilità e dalle comunicazioni tramite elettricità, si situa nel 1844, con la nascita della prima linea telegrafica elettrica, la Washington D. C. – Baltimora, la quale consentì l’allestimento della prima connessione telegrafica elettrica accessibile al pubblico e di facile utilizzo. Da quel momento lo sviluppo delle comunicazioni fu continuo, con sempre nuovi tentativi di miglioramento, con inevitabili cambi di passo e di tipologia comunicativa e non senza battute d’arresto legate a oggettive difficoltà tecniche o a rivalità tra i maggiori contendenti, si trattasse di aziende private o di nazioni in lizza per ottenere i risultati migliori non solo in termini affaristici ma anche dal punto di vista geopolitico. In tale gara il primato fu fin da subito della Gran Bretagna, stato mercantile per eccellenza, che dalla vittoria del libero scambio sul mercantilismo nel 1846 con l’abolizione delle Corn Laws aveva sviluppato quella che Hugill definisce una vera e propria ossessione per le telecomunicazioni a livello mondiale. Si spiega così perché essa fu la prima a realizzare un sistema telegrafico sottomarino di livello mondiale con la posa di cavi sui fondali oceanici per consentire le comunicazioni da un continente all’altro. Il primo cavo transatlantico sottomarino fu calato nel 1856, anche se la prima vera linea funzionante si ebbe solo nel 1866 date le difficoltà estreme che poneva un’impresa come quella di far passare informazione pulita attraverso un conduttore immerso nell’acqua marina. Alla fine del diciannovesimo secolo il mondo era comunque collegato da una rete di linee telegrafiche realizzate prevalentemente dalla Gran Bretagna, con una tecnologia che non aveva più di mezzo secolo. Si trattò di investimenti dovuti per lo più a privati, come conseguenza dei costi relativamente inferiori rispetto a quelli per la costruzione di ferrovie, di competenza dei governi. Alla luce di ciò è ben comprensibile che il primato sia stato del più grande impero coloniale dell’epoca, i cui interessi commerciali spaziavano da Oriente a Occidente. Gli Stati Uniti, che in un futuro non prossimo ( a partire dal 1945, dopo la seconda guerra mondiale), sarebbero stati la potenza egemone anche nel campo delle comunicazioni, pur essendo negli ultimi decenni dell’ottocento gli unici a poter in qualche modo aspirare a contrastare il predominio britannico date le loro nascenti aspirazioni di stato commerciale, erano usciti da non molto dalla guerra civile e stentavano ancora a organizzarsi per le profonde differenze tra il Nord industrializzato e le restanti zone che non lo erano. Innocuo anche il tentativo di competere con la Gran Bretagna messo in atto dalla Francia dal 1870 alla fine del secolo, stante la mancanza dei finanziamenti necessari. La Francia possedeva bensì un impero coloniale, ma non un sistema di commerci di carattere mondiale, anche perché dal 1870 in poi l’attenzione del paese fu catalizzata dalle necessità di difesa nei confronti della vicina Germania e non dagli interessi coloniali. Come a dire che la prevalente caratterizzazione della Francia fu quella di uno stato territoriale, per di più ripiegato sulla difesa dopo le disavventure napoleoniche, e non quella di uno stato mercantile alla ricerca dei collegamenti più idonei per massimizzare i ricavi dei propri traffici commerciali come avvenne per la Gran Bretagna, che del resto dai paesi colonizzati ricavava forti guadagni da reinvestire nel settore stesso delle comunicazioni. Hugill mette anche in evidenza nel capitolo I dedicato alle tecnologie dell’informazione, alla geopolitica e al sistema mondiale, il ruolo delle comunicazioni telegrafiche elettriche nella formazione/mantenimento/sviluppo alla fine del diciannovesimo secolo di grandi stati nazione a carattere territoriale e con una forte burocrazia statale, cui fornirono, insieme alle ferrovie, il supporto tecnico ben più rapido ed efficace di quello costituito in precedenza dalle routes nationales, dai canali, dai servizi postali e dai telegrafi meccanici, molto primitivi. L’autore cita gli ambiti individuati da Michael Mann (Mann 1993) come aree di crescita nel periodo della modernizzazione degli stati avvenuta intorno alla fine del diciannovesimo secolo, relativi a: dimensioni geografiche, ambito delle funzioni statali, organizzazione amministrativa burocratica, rappresentanza politica, riferendo che la stessa Gran Bretagna, il maggior stato mercantile dell’epoca, non potè restare estranea a tali sviluppi. Hugill facendo riferimento alle teorie di Halford Mackinder (Mackinder 1904), sottolinea che comunicazioni e burocrazie più efficienti condussero a uno spostamento radicale dell’equilibrio geopolitico a favore degli stati territoriali, fatto evidenziato già agli inizi del ‘900 dal geopolitico inglese, il quale aveva intravisto l’ascesa della Germania e degli Stati Uniti e il declino della Gran Bretagna come potenza mondiale. Effettivamente la geopolitica mackinderiana influenzerà poi le scelte geostrategiche britanniche, che condurranno il paese ad allearsi in occasione della Prima guerra mondiale con le potenze continentali più deboli contro la più forte Germania, a farsi coinvolgere in un conflitto terrestre per opporsi a tale potenza, a cercare le soluzioni tecniche più idonee nel campo delle nuove tecnologie investendovi massicciamente ( radar per le comunicazioni, adozione e decrittazione messaggi telegrafici e telefonici, aviazione), in modo da difendere il “fossato difensivo”. Tornando a seguire a grandi linee l’evoluzione della storia delle telecomunicazioni come scritta da Hugill, risultano evidenti i vantaggi della trasmissione telegrafica sul piano commerciale e organizzativo, ma altrettanto evidenti appaiono le implicazioni geopolitiche insite nell’innovazione, così come in tutte quelle che seguiranno, dal telefono alla radio al radar alla televisione. Nonostante il predominio conquistato dagli inglesi a partire dal 1858, mantenuto anche successivamente nel periodo di declino cui andò incontro la Gran Bretagna sul piano economico, era chiaro che essi non avrebbero potuto mantenere per sempre un monopolio su tecnologie appetibili anche per le altre nazioni a fini di varia natura. Si innescò così una lotta tra gli stati per il loro accaparramento, condotta a suon di investimenti in brevetti, violazioni degli stessi, fondazione e affossamento di società costruttrici, scandali privati e governativi, alleanze strategiche ma anche conflitti tra stati omologhi come concezioni politiche oppure nemici, guerre economiche incruente, ma anche feroci episodi di spionaggio industriale. Era infatti in gioco il predominio mondiale, oggetto della geopolitica. Ciò era stato compreso da Lakal, afferma Hugill, già all’epoca della rivoluzione francese, quando aveva intuito la possibilità rappresentata dal telegrafo meccanico di controllare lo spazio a scopi economici ma anche militari. All’invenzione del telegrafo elettrico successe quella del telefono. Quest’ultimo ebbe però rispetto alle altre forme di telecomunicazione una storia meno internazionale, essendo stato per un tempo molto lungo un affare “di nicchia” dice Hugill, riservato al mondo degli affari e proprio soprattutto della realtà statunitense, legato com’era alla necessità di collegare in modo pressoché immediato le aziende della regione commerciale del Nord del paese. La nuova scoperta trovò nella società Bell la protagonista della ricerca sia nella tecnica (hardware per Hugill) che nella gestione umana (software), nonché la detentrice quasi assoluta del monopolio nazionale, fatto che influirà non poco, insieme ad altri fattori, anche sulla diffusione del mezzo in Europa e nelle altre parti del mondo. Diversamente che per la telegrafia infatti il mondo degli investitori londinesi fu molto restio a invischiarsi in un affare inficiato da varie controversie governative e non solo circa il regime monopolistico preteso dalla Bell. Nel 1877 Bell aveva già il sogno di collegare il paese da una parte all’altra mediante un apparecchio che consentisse di parlare a viva voce e con facilità, ma fin verso gli ultimi decenni dell’Ottocento il telefono fu un dispositivo dalla portata molto limitata, adatto all’interno di un’area urbana e non ancora in grado di collegare città diverse. Solamente dopo il 1900 e soprattutto dopo il 1915 si ebbe un’accelerazione dello sviluppo del settore. E fu dagli anni venti del novecento che furono possibili collegamenti tra gli Stati Uniti e il resto del mondo, mentre bisognerà attendere la metà degli anni cinquanta per avere una trasmissione e una ricezione veramente affidabili e gli anni sessanta perché il mezzo fosse davvero accessibile a tutti. Rispetto a quella della telegrafia, che dopo che furono risolti i problemi tecnici della costruzione dei cavi e della relativa trasmissione, fu in grado di assicurare una rete di copertura mondiale, la telefonia poneva infatti problemi molto più complessi, sia per le conoscenze tecniche necessarie che per gli elevati costi in energia, cosicché occorreranno ottant’anni e il massiccio programma satellitare statunitense per avere una copertura mondiale. A spiegare la lenta penetrazione del mezzo telefonico negli altri paesi si aggiungono ulteriori elementi di differenziazione tra gli Stati Uniti e l’Europa. I governi europei infatti, compresi quelli capitalistici come la Gran Bretagna, nazionalizzarono il settore delle telecomunicazioni e continuarono a considerare l’utilizzo del telegrafo molto più conveniente in termini economici. Attraverso fattorini prima in bicicletta, poi in moto, era possibile infatti consegnare a casa in breve tempo i telegrammi, mentre il telefono era ancora considerato uno strumento destinato agli affari e non un’apparecchiatura per le famiglie, com’era invece avvenuto per la società americana, dove i costi erano stati abbattuti. Complicatissime le vicende relative alla scoperta del sistema radio, sia per quanto concerne le tecniche che la paternità delle stesse in regime di monopolio, necessità fondamentale per ogni stato che aspirasse a mantenere o a raggiungere il predominio nelle comunicazioni, che per Hugill e per gli autori che sostengono un’analoga interpretazione geopolitica s’identifica con il predominio mondiale tout court nella potenza degli stati. La ricerca di una via alternativa ai cavi telegrafici che passasse via etere iniziò verso la fine dell’Ottocento, dando vita a una vera e propria lotta tecnologica ed economica tra stati, la quale s’intensificò nel periodo immediatamente successivo alla Prima guerra mondiale, per stabilizzarsi intorno agli anni venti. Le comunicazioni via radio, diversamente dalla telegrafia che per la posa di cavi richiedeva permessi di passaggio per le linee a terra e diritti di approdo per quelli sottomarini, avrebbero offerto a chi ne detenesse la tecnologia l’utilizzo di uno spazio illimitato e non soggetto a controllo. La lotta iniziale ebbe per protagoniste la Gran Bretagna e la Germania, fino a quando nel 1911 entrarono in competizione anche gli Stati Uniti. Il predominio della Gran Bretagna, che utilizzava la tecnologia a scintilla introdotta da Marconi, conobbe secondo alcuni autori tra cui Ludwell Denny (Denny, America Conquers Britain, 1930) una battuta d’arresto nel 1917 ad opera degli Stati Uniti, che introdussero il sistema a onde continue generate nella parte a bassa frequenza dello spettro elettromagnetico. Hugill afferma però che i britannici riconquistarono ben presto la loro posizione con il passaggio a partire dagli anni venti alle onde continue ad alta frequenza introdotte dalla società fondata da Marconi. In realtà, osserva l’autore, nessuna nazione vinse mai la competizione e, se mai, una conseguenza fu l’aumento del consolidato controllo britannico sulle linee telegrafiche sottomarine. I britannici poi, negli anni trenta, completarono l’installazione di una serie di stazioni a onde continue ad alta frequenza che utilizzavano antenne direzionali a fascio molto efficienti, dando vita a un’operazione che risultò molto importante dal punto di vista sia commerciale che strategico per tutto l’impero, soprattutto perché il governo inglese intervenne per costringere le società interessate ai cavi sottomarini e quelle all’etere a fondersi in un unico monopolio. Hugill cita numerosi particolari relativi alla lotta per il primato via etere interessanti sotto vari aspetti, come quando attribuisce la propensione di Marconi per le telecomunicazioni, propensione non disgiunta dalla ricerca dell’interesse economico, come dovuta all’influenza della madre, appartenente a una ricca famiglia di origini irlandesi e scozzesi, sensibile quindi, per inclinazione nazionale, al problema delle comunicazioni come mezzo di vantaggio economico e quindi di predominio. Oppure quando riferisce dello scandalo Marconi e dei suoi riflessi geopolitici, dato che esso comportò per la Gran Bretagna la perdita della possibilità di mantenere il predominio sulle telecomunicazioni mondiali nel periodo precedente la prima guerra mondiale, con la conseguenza di lasciar aperto il varco per l’ascesa degli Stati Uniti. Si trattò sostanzialmente di un affare di insider trading relativo alla firma di un contratto molto vantaggioso per la Marconi, meno per la corona inglese secondo le accuse del British Post Office, a proposito della creazione di una rete imperiale di comunicazioni radio. L’accusa di corruzione riguardò i due fratelli Godfrey e Rufus Isaacs, il primo amministratore delegato della Marconi e l’altro membro della Camera dei Comuni e del governo, oltre a vari membri di gabinetto e al ministro delle poste firmatario dell’accordo Herbert Samuel. Non mancò nemmeno il risvolto razziale, dato che certa stampa politica speculò sul fatto che i fratelli Isaacs e Samuel erano ebrei. La vicenda andò avanti per un anno e mezzo, concludendosi nel 1913 con la revisione del contratto e con la sua cancellazione nel 1914, proprio alla vigilia della prima guerra mondiale. Afferma Hugill che ciò fece si che la rete imperiale fosse ritardata di un anno e non ancora terminata allo scoppio della guerra. Ugualmente interessanti sono le pagine in cui l’autore ricostruisce i vari tentativi di guerra economica che costeggiarono lo sviluppo delle trasmissioni via radio anche nei paesi contendenti il primato. Hugill cita i numerosi tentativi di boicottaggio delle invenzioni di Marconi messi in atto dalla marina statunitense, che, avendo compreso l’importanza geostrategica e geopolitica delle comunicazioni, aveva sviluppato quella che egli considera una vera “ossessione” per questo settore chiave della potenza di una nazione. Tali tentativi si tradussero ora in episodi eclatanti ora in una vera e propria guerra di logoramento portata avanti con vari espedienti politico-economici, tramite la sottrazione di tecnologie e di brevetti, di costrizioni ma anche di lusinghe nei confronti di aziende nazionali, come ad esempio la GE, che dovette rinunciare ad affari estremamente redditizi per non acquisire tecnologia del “nemico” britannico ( la guerra economica, direbbe Harbulot, è sempre in agguato) e ricostituirsi in una società, la RCA, cui andarono per interessamento della marina sovvenzioni e concessioni monopolistiche governative, salvo poi tradire chi l’aveva beneficata trascurando gli interessi militari per spingere invece verso interessi capitalistici del mondo privato nel settore delle comunicazioni radio commerciali e dell’intrattenimento. Hugill dedica molte pagine all’utilizzo delle telecomunicazioni in tempo di guerra: se infatti esse sono importanti ai fini civili per l’organizzazione e l’amministrazione di uno stato, oltre che per gli aspetti industriali e commerciali su cu si regge la sua economia, il possesso di una tecnologia comunicativa che consenta una posizione di dominio diviene essenziale in caso di conflitto. Dopo aver analizzato ampiamente i progressi delle comunicazioni mobili, cioè via radio, durante la Prima guerra mondiale, le quali rivoluzionarono la tattica bellica consentendo il controllo centralizzato e burocratizzato ma anche il ritorno alla guerra di movimento, l’autore passa a considerare la quarta delle tecnologie delle telecomunicazioni che ritiene veramente importanti, vale a dire il radar, da cui dipesero in notevole misura le sorti del secondo conflitto mondiale. Se nel secondo e nel terzo decennio del novecento lo sviluppo della radio mobile aveva incoraggiato la forma offensiva, con l’avvento del radar la strategia difensiva cui dovettero ricorrere i vari paesi coinvolti riacquistò importanza. Ancora una volta fu la Gran Bretagna a superare in tempismo ma anche in tecnologia le altre nazioni, dato che il “fossato difensivo” non era più inviolabile, né dai cieli né dal mare, ragion per cui il governo aveva deciso massicci stanziamenti in tecnologia difensiva. Il fatto stupisce perché in realtà dal punto di vista tecnico la Germania era passata in posizione di vantaggio. Il paese infatti, che era rimasto a lungo su una posizione di secondo piano essendosi in genere avvalso di tecnologie importate o utilizzate su licenza straniera, prevalentemente britannica, dopo la Prima guerra mondiale aveva acquisito una posizione all’avanguardia in ogni campo dell’elettronica. Nel 1939 la componentistica del radar tedesco era infatti molto avanzata, non così il software, che , se accettabile in una geostrategia rivolta all’offensiva tattica, non lo era a livello strategico. Hugill sostiene poi che la vera causa di quella che è stata interpretata come un’incompetenza tedesca vada ricercata nell’egualitarismo del regime nazista: contrariamente a Stati Uniti e a Gran Bretagna, in Germania infatti non vennero redatte liste di tecnici da destinare allo sviluppo e all’utilizzo delle tecnologie, poiché tutti furono liberi di arruolarsi o furono chiamati alle armi proprio nel momento i cui servivano tecnici da destinare anche alle comunicazioni. A ciò si aggiungano altri fattori, tra cui la mancanza di un adeguato sforzo scientifico dovuta alla mentalità pseudo- romantica del nazismo, più orientato a sostenere le ricerche sulla mitologia tedesca che quelle nei settori della fisica, dell’elettronica e di altre scienze, oltre al fatto che l’odio antisemita privò il corpus tecnicoscientifico tedesco delle menti più brillanti appartenenti all’intellighenzia ebraica, consegnandole in mano al nemico. In conclusione, anche se le ricerche sullo sviluppo del radar durante la guerra appaiono ancora lacunose, Hugill afferma con Overy (Overy, The air war, 1939-1945, 1980) che la guerra aerea che caratterizzò la Seconda guerra mondiale richiedeva un’alleanza stretta tra élite scientifica e militare. Pur avendo meno finanziamenti di quella tedesca, l’élite scientifico-tecnica britannica fu reclutata per la guerra con più decisione ed efficienza, ciò che avvenne anche negli Stati Uniti, dove non c’erano partiti ingombranti come quello nazionalsocialista a politicizzare le università come avvenne in Germania. Hugill riconduce molti di questi aspetti alle differenze fondamentali fra le economie liberali e capitalistiche dell’Occidente e quelle basate sul controllo e la pianificazione prevalenti tra le potenze dell’Asse e dell’Unione Sovietica. Le vicende della seconda guerra mondiale mettono in evidenza la multipolarità che si era creata sul piano politico-miltare, multipolarità che ebbe un corrispondente nel campo delle telecomunicazioni. A partire dal 1945 infatti il primato in tale campo passò agli Stati Uniti, che, nonostante avessero ampi mezzi economici e tecnologia per averlo già dagli anni trenta (per alcuni autori, come detto in precedenza, già dagli inizi del novecento), lo mancarono, sia per scarsa lungimiranza geostrategica che per problemi interni relativi a un eccesso di liberalismo, dice sostanzialmente Hugill, riferendosi alle complesse norme antitrust proprie dell’economia statunitense. Per altri si trattò, come nel caso della Prima guerra mondiale, di un eccesso di democrazia tipica di un paese che su questo ideale aveva fondato la propria esistenza fin dalla guerra d’indipendenza. I fatti hanno dimostrato che così non fu. Come l’affrancamento dalla madrepatria inglese fu dovuto a motivi commerciali, di guerra economica per dirla con Harbulot, così il disinteresse statunitense per le vicende europee si alimentava di nazionalismo, anche se gli storici hanno parlato di isolazionismo, e del fatto che una teoria rivolta a un’offensiva aerea strategica avrebbe necessitato di un forte impegno nella ricerca per la difesa aerea. Tale impegno giunse , in ritardo, ma giunse, nel corso della seconda guerra mondiale, quando fu chiaro che il paese non avrebbe più usufruito del “fossato difensivo” rappresentato dall’Atlantico. Se negli anni trenta l’errore fu nella mancata previsione di un’offensiva aerea, questa venne invece pensata a partire dal 1940 con la progettazione di bombardieri capaci di grande autonomia per colpire la Germania direttamente dal Nord America. Alla fine del conflitto, gli Stati Uniti, che agli inizi avevano usufruito della tecnologia britannica, in parte grazie alle grandi strutture per la ricerca industriale realizzate durante il periodo bellico, tra cui il Radiation Laboratory al MIT e anche, ad esempio, i Laboratori Bell, arrivarono al dominio completo dello sviluppo del radar.

 
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