4 aprile 2015

Gagliano Giuseppe Tecnologia e potenza economica nella riflessione di C. M. Cipolla

Lo studio dello storico dell’economia italiano offre un quadro esaustivo sul piano delle conoscenze tecnico-militari e della storia economica degli stati di quel grande mutamento di rotta che conobbe l’Europa nella sua declinazione prevalentemente atlantica a partire dalla seconda parte del 1400, quando, aggirando il blocco dei turchi che non solo avevano preso Costantinopoli suscitando il panico tra le popolazioni dell’intero continente, ma avevano anche invaso la Serbia, la Bosnia Erzegovina, il Negroponte e l’Albania, si lanciarono per altri percorsi alla ricerca delle spezie, divenendo in breve padroni degli oceani e delle rotte commerciali più fruttuose per la costruzione di quella che può a buon diritto dirsi una grande potenza economica. Tale sorte toccò agli stati a prevalente vocazione mercantile, come il Portogallo e come divenne anche la Spagna (che peraltro aveva una tradizione politica fortemente orientata in senso continentale e mediterraneo), seguiti a breve da Olanda e Inghilterra, le quali posero sul mare le basi per una duratura egemonia economica a livello mondiale. Cipolla parte dall’esame delle condizioni del continente europeo sul finire del Medioevo per affermarne lo stato di diffusa arretratezza su posizioni statiche di difesa, le cui ragioni si possono rinvenire su più versanti: quello demografico tra i primi, essendo la popolazione numericamente poco consistente, dato che non raggiungeva nel complesso il numero di più di cento milioni di persone. Poi le divisioni politiche tra le varie nazioni, impegnate più a farsi guerra tra di loro che a far fronte comune contro il nemico turco. Quindi la tecnica militare arretrata e inefficiente, ignara delle più elementari regole di tattica e di strategia, in cui il ruolo prevalente spettava ancora specie nell’Europa orientale alla cavalleria pesante, d’effetto, ma inefficace. Eppure, in una situazione d’inerzia economica e d’inettitudine politico-militare come quella delineata irruppero in un breve volgere di tempo dei cambiamenti radicali, inimmaginabili fino a poco prima, i quali trasformarono un sonnolento continente in qualche modo alla deriva di se stesso in una micidiale macchina da guerra, che non solo spiazzò sul piano delle tecniche militari il nemico di sempre, l’impero turco, grazie ai nuovi ritrovati bellici forniti dall’artiglieria, ma si volse a una politica di espansione coloniale di un’aggressività degna delle orde di Tamerlano. Solo che in questo caso le conquiste non furono di terra ma di mare, lungo gli oceani orientali, africani e transatlantici, in poche parole, fino agli estremi confini del mondo, divenuto oggetto di una feroce politica di rapina da parte di eserciti governativi, di avventurieri e di mercanti. Che cosa rese possibile una così sorprendente metamorfosi si chiede Cipolla? Perché l’Europa del Cinquecento riuscì dove l’Europa dei due secoli immediatamente precedenti aveva fallito? Quali furono gli elementi che consentirono l’inizio di quella che lo studioso denomina come «l’era di Vasco da Gama» che segna l’inizio dell’espansione colonialista del vecchio continente, ormai lanciato su posizioni di spregiudicata conquista? A questi e ad altri interrogativi connessi con il mutamento relativo anche ai rapporti di forza tra i vari stati del continente lo storico dell’economia trova risposta partendo dall’analisi dello scenario europeo degli armamenti del periodo, riguardo ai quali appunta la sua attenzione principalmente sui pezzi d’artiglieria costituiti dai cannoni, sulle materie prime e sulle tecniche necessarie per produrli, oltre che sulla manodopera richiesta per la loro realizzazione. Apprendiamo così che i primi cannoni, frutto di una rinata vocazione tecnologica dopo il periodo di stasi successivo ai progressi avvenuti a partire dall’anno 1000 in vari settori, da quello agricolo a quello marinaro a quello militare, furono in ferro e in bronzo, meno costosi i primi anche per una certa facilità di reperimento del minerale, ma molto più facilmente deteriorabili perché soggetti a fratture anche nell’immediato e a corrosione, oltre a non essere di facile trasporto dato il peso. A vantaggio dei secondi giocavano una maggiore durevolezza, per quanto anch’essa non di lungo periodo, una migliore maneggevolezza e soprattutto la diffusa conoscenza delle tecniche di costruzione, accessibili a qualsiasi artigiano di villaggio capace di forgiare campane. Non così vantaggiosi, come accennato, erano però i costi, stante la difficoltà a reperire il duplice materiale da lega, il rame e lo stagno. Cipolla analizza sia il quadro generale del vecchio continente che lo sviluppo della produzione e dell’armamentario bellico dei singoli stati, di cui ripercorre le tappe della militarizzazione con armi da fuoco. Questa comportò anche una generale evoluzione tecnica, come sempre avviene, in ogni epoca storica, quando l’affinamento della tecnica di un settore chiave come quello della guerra porta con sé fruttuosi progressi anche in altri campi. Pensiamo, per far solo un esempio che ci tocca da vicino, a quanto avvenuto nel corso del ‘900, in cui due guerre mondiali e in seguito il confronto USA URSS hanno determinato uno sviluppo fortemente accelerato di tecnologie inizialmente legate al campo militare (nucleare, missilistica, reti di comunicazioni sicure ecc) passate poi ai più vari ambiti del settore civile. Cipolla dedica particolare attenzione al caso inglese seguendone da vicino le fasi della militarizzazione in armi da fuoco e della loro produzione e mostrando come la buona riuscita tecnologica si tramutò in un successo economico. L’isola, da paese sottosviluppato che era considerato agli inizi del sedicesimo secolo, divenne infatti in breve una forte esportatrice di cannoni in ferro, fatto per il quale gli studiosi hanno considerato la fabbricazione dei cannoni come l’affare più vantaggioso nella commercializzazione del ferro del sedicesimo secolo. E ciò anche grazie a una politica dei prezzi che fece sì che i cannoni inglesi fossero particolarmente appetibili, non tanto per la loro qualità, considerata scadente dalle altre nazioni, quanto per la loro convenienza, politica questa che ha caratterizzato costantemente nel tempo la produzione britannica anche in altri settori, come ad esempio quello tessile. Lo scopo degli inglesi, ma anche degli olandesi per la verità, è sempre stato infatti quello di produrre manufatti utili allo scopo, diversamente da quanto accadeva invece in Francia o in Italia, dove, per la mania del bello, si stavano a cesellare persino le palle da cannone. E’ in questo modo che l’Inghilterra conoscerà nel corso dei due secoli successivi una crescita economica che, partita dalla lavorazione del ferro del Sussex voluta da Enrico VIII al fine di dotare il paese di propri armamenti senza dover più dipendere dalle costose importazioni dai Paesi Bassi meridionali, arrecherà all’isola nuove dotazioni tecnologiche le quali, unite alla ricchezza in materie prime derivante dalla successiva espansione marittima, ne faranno la prima nazione ad avviare la rivoluzione industriale. Sempre relativamente alla storia inglese, ma ci sono nel testo esempi riguardanti anche altri paesi, Cipolla riferisce di un evidente caso di guerra economica, in cui, per dirla con Harbulot, si ritrova il meccanismo della dissimulazione, cioè della volontà di nascondere il reale movente economico sotto pretesti di carattere religioso. L’autore riferisce infatti dell’embargo alle esportazioni di cannoni inglesi imposto dalla regina Elisabetta nel 1574 nei confronti dei paesi nemici sul piano religioso (paesi cattolici), embargo attuato su pressione dei gruppi politici che non volevano favorire le potenze avversarie. Misura che suscitò forti reazioni da parte dei gruppi commerciali e fu peraltro facilmente aggirata con l’ottenimento di licenze particolari per l’esportazione o con il contrabbando o il furto su commissione di forze economiche sia inglesi che estere. Si tratta per la verità di una costante, questa dell’embargo, che ritorna con regolarità nei conflitti fra popoli rientrando in una logica evidente di guerra, sotto la quale si cela una matrice economica. Si pensi ad esempio all’odierna crisi ucraina, in cui l’UE ha stabilito l’embargo nei confronti della Russia di beni dual use o militari tout court, di apparecchiature energetiche, oltre che di capitali e di strumenti finanziari1, ricevendone in contraccambio la minaccia di restrizioni alle importazioni di automobili e prodotti tessili, come annunciato dal Cremlino2. Va da sé comunque che l’intera questione russo-ucraina rientra in una quadro di guerra economica, dato il complesso sistema degli interessi in gioco. Cipolla sostiene con decisione il ruolo imprescindibile della tecnologia per scopi militari, oltre che come elemento risolutore immediato dei conflitti anche come fattore di crescita economica, quindi di potenza degli stati. Quando cita i maggiori centri di produzione di cannoni europei, rappresentati da Norimberga, fulcro della metallurgica tedesca, da Lione, luogo startegico per l’ approvvigionamento per la Francia, da Bolzano, a metà strada fra il Tirolo e l’Italia settentrionale e da Anversa dove s’incontravano le merci di provenienza africana e asiatica con i manufatti metallurgici della Germania e dalle Fiandre, ne parla come della culla del capitalismo europeo, citando il caso classico dei Fugger, i maggiori imprenditori e banchieri tedeschi che proprio nel settore degli armamenti fecero la loro fortuna. In Vele e cannoni l’autore considera anche altri fattori di progresso tecnico determinanti per la nascita del predominio europeo a partire da quella che egli chiama «l’era di Vasco da Gama», rivolgendo nella seconda parte del suo studio l’attenzione alle innovazioni riguardanti i viaggi, le conquiste e i traffici marittimi che furono foriere di uno sviluppo altrimenti impensabile per l’Europa, in particolare per i paesi che si affacciavano sull’oceano Atlantico. Innanzitutto le marinerie furono le prime a introdurre massicciamente l’uso dell’artiglieria. Sulle imbarcazioni, diversamente dalla terraferma, non si ponevano infatti problemi riguardo alla mobilità e alla velocità di fuoco. Se però inizialmente l’uso dell’artiglieria venne concepito come funzionale alla tecnica dello speronamento e dell’arrembaggio preliminari per lo scontro all’arma bianca, a partire dalla fine del quindicesimo secolo la tecnica militare navale cambiò in funzione di un diverso uso delle armi da fuoco. Si comprese infatti che a decidere le sorti di una battaglia marittima potevano essere i cannoni usati direttamente per affondare le navi nemiche e non più per ferire o uccidere i nemici. Tutto ciò si accompagnò a mutamenti altrettanto importanti per quanto concerne la tecnica stessa della navigazione e la tipologia di navi impiegate. I più stretti contatti stabilitisi ormai da tempo tra la marineria mediterranea e quella nordica favorirono l’adozione del timone unico a poppa e la diffusione nel Mediterraneo della cocca, un’imitazione della Kogge nordica che aveva un albero di maestra fornito di una grande vela quadra e un timone posteriore. Un tale tipo di timone garantiva una maggior manovrabilità e velocità alle navi, consentendo anche, unitamente allo sviluppo della velatura con il passaggio dalla nave a un albero a quella a tre alberi, un aumento di stazza e la navigazione in mare aperto. Se a ciò si aggiungono altri elementi rilevanti come il diffondersi dell’uso della bussola e lo sviluppo della cartografia nautica, oltre a un più ampio uso di energia eolica conseguente alla penuria di mano d’opera per le galere a seguito delle epidemie del quattordicesimo secolo che resero difficile il reclutamento di rematori, si può ben comprendere come si sia venuto a creare tutto un insieme di condizioni favorevoli che non tardarono a dare i loro frutti consentendo l’avvio dell’espansione europea oltremare che era invece mancata nei secoli precedenti. Per lo storico dell’economia fu il veliero armato creato dall’Europa che si affacciava sull’oceano Atlantico il vero protagonista di tale svolta: da qui i successi dei portoghesi, seguiti da quelli ancora più consistenti della Spagna, dell’Inghilterra, dell’Olanda, con un mutamento dello stesso quadro politico-economico del continente che dal secolo quindicesimo in poi privilegiò tali stati ormai lanciati alla conquista del mondo a scapito dei paesi mediterranei o continentali. Non furono sicuramente le motivazioni religiose di diffusione della fede cattolica, che pure furono enfatizzate, a spingere in tal senso, bensì fini commerciali e di conquista, per i quali, osserva l’autore, la religione fornì il pretesto, l’oro il motivo, la tecnologia il mezzo indispensabile.

 
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